lunedì 22 settembre 2008

Equinozio

Quel che avrei voluto allora era: ritrovarci vecchi insieme, a Kleehof.
Invece Ana non c'è più, e anche Kleehof è stata rasa al suolo.
Io sono rimasta, con un'altra vita.
Che contiene tutte le vite precedenti.

martedì 16 settembre 2008

16.09.2007 via Cassin al Badile (un anno dopo)

(bep)

Siamo alla fine dei camini e ormai poche piacevoli morbide placche ci aspettano prima della luce dietro questa nebbia, che ormai è nostra compagna di viaggio.
Guardando verso l’alto mi vengono in mente i Blues Brothers: “ho visto la luce!”; ma c’è per davvero! azz e riazz si vede l’azzurro del cielo, la nebbia sono nuvole che salgono da nord e vengono fermate dal tepore del versante sud.

  
Bene, è fatta, siamo fuori. Certo i camini con il loro lugubre ambiente sono tutta un’altra cosa.
Il pensiero va subito alla discesa, due calcoli veloci: allora se usciamo alle 7 e 30 abbiamo un’ora e mezza di luce: mezz’ora alla vetta, giù per un ora e siamo fuori dalle prime doppie, poi scendiamo con la pila.
Roby tira gli ultimi tre tiri, che diventano due visto che il secondo lo facciamo praticamente di conserva con la disinvoltura di chi vede la luce.
Voltandomi la nebbia assume il colore dell’ambra tipico del sole che tramonta e che si fonde con le nuvole basse che ormai mi piacciono pure.


Siamo sullo spigolo, bel miraggio da quando siamo partiti.
Chiamarlo spigolo è davvero un peccato; viene in mente qualcosa di aguzzo, fastidioso, ruvido, niente di più sbagliato: visto dalla Cassin ha un aspetto rotondo, piacevole, vellutato, bello da toccarsi, qualcosa che lo sai che ti proteggerà dopo questa avventura che sappiamo ambedue ormai al termine e fermarsi sulla mitica via Cassin sarebbe davvero disdicevole. In cima nulla ti può più cadere addosso, niente scariche di pietre per non parlare dei fiumi di acqua nei colatoi finali in caso di pioggia.
Siamo sullo spigolo, ma i complimenti reciproci a nessuno dei due viene in mente di farli: sappiamo che è ancora lunga e per lo meno aspettiamo l’obelisco.
Roby dallo spigolo tira gli ultimi metri di corda e ahimè l’azzurro non c’è più… La nebbia ha avuto il sopravvento sul tepore del sud e siamo completamente avvolti. La luce alle 7 e 30 è ormai un barlume che ci permetterà di fare al massimo un tiro dei due o tre che ci aspettano... il bivacco è indispensabile. Comunque siamo fuori; qualsiasi cosa ci possa capitare ormai questa montagna, all’inizio ostica, ci diventa amica e ci avvolge proteggendoci sulla sua sommità.

 
I sassi che aggiriamo sono grandi come case e il pensiero di un eventuale bivacco in qualsiasi punto non spiacerebbe neppure. Ma dobbiamo arrivare al bivacco giallo, che ci aspetta con la montagna di coperte umide che asciugheremo con il nostro corpo.
Abbiamo un sacco di roba da mangiare, anche se il pensiero del cibo mi fa venir la nausea. Abbiamo cibo e acqua e magari un dado o una busta di brodo potremmo anche usarla per farci qualcosa di caldo. Sono tutti miei pensieri perché ormai sono già lontano da Roby. Dopo mezzo tiro supero una sosta e faccio ancora l’ennesimo tiro, ma ormai si fa buio: penso che sia l’ultimo con la luce. Non ho idea di dove sia la vetta e quanto manchi alla cengia che ci condurrà all’arrivo. Ma vado. Inutile tentennare, tiro tutta la lunghezza della corda, due metri dalla fine e sono su un bel sassone. Ci passo a destra, la sosta è lì: due vecchie fettucce sono quello che trovo, non serve integrare con nostro materiale come invece ho dovuto fare per tutte le altre soste.
Sono perfettamente in piano su un sasso grande come un autobus. Qui i sassi  non sembrano macigni giganteschi, qui tutto diventa relativamente piccolo nel  grande massiccio che ormai abbiamo domato, su cui siamo a cavallo, ormai addolcito. Come quei vecchi montanari burberi che sotto una pelle sottile ti fanno trovare tanto tenero e piacevole carattere. Ormai nulla ci spaventa più, siamo tranquilli anche con il buio che ormai ci avvolge completamente, ora il vecchio si prende cura di noi.


Ora tutto  rallenta. Il buio e la nebbia assieme sembrano non volerti far vedere realmente dove ti trovi, non vedere la profondità del cielo e la dimensione della montagna. Quasi come a volerti bendare e forse anche tranquillizzare, ma proseguire è davvero difficile. La mia pila assomiglia alla pila della Barbie di mia figlia: praticamente raggio d’azione mezzo metro o poco più. Quella di Roby sembra un faro: tutte le volte che si gira verso di me mi abbaglia e faccio fatica a riprendermi. Quindi meglio la mia, gli occhi si abituano anche con la luce fioca.
Aggiriamo il masso, a questo punto la cengia che dovrebbe essere lì è un baratro nel buio vuoto, non riusciamo a vedere nulla nemmeno con il faro di Roby; potrebbe essere più avanti, decidiamo di rimanere in cresta, nostra protettrice.
Ancora un tiro, stavolta è buio e continuare anche su passaggi semplici comporta attenzione. La pila di Barbie  fa del suo meglio ma la sensibilità della mani è quello che più conta. Su questi gradi facili le mani ti danno quella sicurezza che i piedi non possono darti, perché non li vedi dove vanno, li senti solo quando appoggiano.

 
La nebbia è fittissima: con il faro di Roby vediamo al massimo due metri in profondità, oltre c’è un muro bianco. Siamo in cima ma non sulla cengia che ci aspettavamo di trovare, sarà l’anticima, non ci rimane che trovar da scendere.
Si prosegue su un facile passaggio in piano, 5 metri massimo  sempre legati e l’altro raggiunge il compagno. Roby trova una sosta, eccola è quella che di sicuro arriva alla cengia che porta all’obelisco. I ricordi dell’ultima volta allo spigolo nord ci danno forza e certezza, scende uno e l’altro appena poco dopo.
Siamo giù, non si vede praticamente una mazza ma si fa qualche passo di traverso. Dai ci siamo, questa è la cengia giusta che dovevamo prendere prima.
Il tempo passa lentamente. Fare 5 metri e aspettare l’altro assicurandolo su un sentiero che normalmente fai slegato è davvero interminabile.


Ormai saltano le marcature sui tempi, ma siamo incredibilmente tranquilli, nessuno dei due dà segni di stanchezza mentale, sappiamo di essere al sicuro qualsiasi cosa capiti, la cresta con tutte le sue casette ci proteggerà in ogni caso. Ma il bivacco è lì, a meno di 100 metri.
Ci siamo: un passaggio che ci porta da nord a sud sotto due massi appoggiati (sembrano villette a due piani) che ormai Roby ricorda perfettamente, ci siamo, è la cengia giusta.
Roby  con la sua buona memoria riconosce pure un passaggio che, dopo un cunicolo tormentato da una corrente freddissima, ci conduce all’obelisco. Bene, è finita, già sento la sensazione del tepore del rifugio.
Siamo tranquilli, Roby si ricorda perfettamente dove sia e il pensiero di raggiungerlo in poco tempo ci dà sollievo.  L’adrenalina ci preserva ancora dal freddo che oggettivamente c’è. Le nuvole muovendosi verso la cima ti buttano addosso quest’umidità che tutto sommato non è pungente come potresti immaginare. Un attimo di pausa per fare una telefonata alla figlia: “Siamo arrivati, stiamo andando al rifugio, stai tranquilla”.
Il tempo non ha più importanza, scendiamo dalla normale sud dove sappiamo che troveremo il bivacco.

 
Siamo sempre legati e proseguiamo  di conserva. Roby deve sempre aspettarmi perché per camminare su questi passaggi di cima ci vorrebbe necessariamente una pila da adulti, per cui fa pochi metri e poi si volta illuminando i miei piedi, che sembrano camminare sulle uova.
È qui sotto, lo sento, sì, penso anch’io, si cerca, ma il faro di Roby non punta oltre due metri: dobbiamo arrivarci addosso per vedere il bivacco  e la ricerca si fa piuttosto macchinosa. Il tempo passa, questa volta è il turno della morosa, bisogna tranquillizzare pure lei.
Siamo assolutamente tranquilli, sappiamo che siamo al sicuro, ma il pensiero di parlarci e di comunicarle la situazione mi mette un poco in agitazione per lei che di sicuro si preoccuperà.
Del resto lo farei pure io se un amico mi chiamasse dalla cima del Badile di notte con un freddo della madonna, nebbia che non  ci vedi, e non trova il bivacco. Mi farebbe attorcigliare le budella.
“Ciao. Siamo in cima. Non troviamo il bivacco ma lo stiamo cercando e di sicuro lo troviamo, stai tranquilla, ci sentiamo appena lo troviamo”. Non è facile tranquillizzare una persona che ti vuole bene con poche parole, sapendo che pur di tranquillizzarla le racconteresti qualche bugia.
Ma stavolta niente di più vero, siamo davvero sereni, non abbiamo freddo, abbiamo ulteriori vestiti per proteggerci, cibo e acqua in abbondanza, ma siamo caparbi e cerchiamo ancora in ogni caso.

 
Il puntiglio di Roby nell’insistere a cercare nel posto in cui, secondo lui, è collocato il bivacco, non mi fa neanche chiedere a Val, che di sicuro potrebbe informarsi da qualcuno dei suoi amici della chat di montagna per indicarci come trovarlo.
Tanto ormai ci siamo ed è qui.
Il cellulare continua a dare segni di messaggi o tentate chiamate, ma non prende e poi bisogna trovare il bivacco, a che serve continuare a chiamare?
La prossima telefonata sarà quando saremo al bivacco.
E’  passata ormai la mezzanotte e il cielo si apre e scopre i suoi gioielli. La nebbia si dirada ma la pila arriva a un massimo raggio di 5 o 6 metri e nell’immensità della cresta è davvero poco per vederlo...
Anche le distanze sembrano allungarsi con la lentezza con cui camminiamo: sembra di essere scesi per 100 o 200 metri, stando sempre sulla sinistra, parete sud, scendendo dall’unica parte dove siamo sicuri che dovrebbe trovarsi.
Per lo meno Roby è sicuro. Lo vide lui in una precedente salita sulla normale.


La sua tenacia nel cercarlo in quella zona è pari alla sicurezza di trovarlo ma è anche pari alla mia crescente stanchezza di gambe: mi fermo ogni 4/5 passi, che ormai sono solo in salita o discesa, il piano non esiste più, siamo sullo scosceso. Giriamo, giriamo e rigiriamo. Roby scivola assieme a un sasso grosso come mezza macchina, ma basta poco per tenerlo con la corda e rimane in equilibrio. Minchia che stanchezza… l’adrenalina comincia a perdere efficacia, ci fermiamo per l’ennesima volta, cerchiamo con la pila nella nebbia un po’ più rada … Guardo l’ora sul cellulare, ci sono un sacco di messaggi,  sono sicuramente di chi è preoccupato a valle.. ma che gli rispondo? Meglio farlo quando siamo tranquilli al bivacco… Accenno a Roby che potremmo fermarci al riparo da qualche parte, abbiamo ancora un piumino supplementare, la coperta termica e altre cose e dobbiamo assolutamente riposare. È da stamattina alle 3 e mezza che non ci fermiamo un attimo, la via è stata durissima: è indispensabile. La sua risposta é perentoria: si continua a cercare. Poi nessun commento, stiamo in silenzio… ci fermiamo per l’ennesima volta … leggo i messaggi… ………………….
Azz, riazz e doppio azz,  la Val ci legge nel pensiero. Con un sorriso mi rivolgo a Roby: mo’ ti leggo il messaggio di Val: “Dalla cima verso est circa 70 metri, versante sud. 10 mt più in basso della cresta. Ci sono segni gialli sulla cresta sopra il bivacco”. Esclamazione di Roby: Grande Vale! Mia risposta: Sì, quella strega con tutti i suoi amici e la tecnologia infernale l’ha azzeccata.
Bene, in 5 minuti siamo all’obelisco in cresta , Roby  avanti 5 metri vede un segno giallo, lo raggiungo … dai  Roby ci siamo, guardiamo in giro sotto…  Miiiii… mai un bidone giallo che sembra un pollaio ci è sembrato tanto bello.


Oh ma se è chiuso? Lo apriamo con il martello… Sono solo battute, ormai siamo dentro.
Ragazzi che reggia, è bellissimo questo castello: coperte, un tetto, basta nebbia, sei brande…
Grande Vale. Questa volta mi ha letto nel pensiero: quando volevo chiamarla per dirle di chiedere ai suoi amici di montagna dove fosse… lei c’è arrivata prima. La certezza e l’orgoglio di Roby ci facevano cercare nel posto sbagliato… questa volta però ha imparato e ammesso: anche quando siamo strasicuri, dice, è sempre meglio mettersi in discussione e pensare se oltre alle nostre convinzioni e certezze esiste anche un’altra verità. Questa volta c’era.


Vabbè facciamola breve. Ormai è l’una. Questa volta una bella stretta di mano al mio compagno di viaggio con un sorriso. Una telefonata per rincuorare Val che l’abbiamo trovato, prima di entrare nel bivacco e siamo già senza imbrago, ferraglia, corde, zaini e sono già sul letto vestito sotto tre coperte. Roby chiede se ho fame mentre si sforza di mangiar qualcosa. Non se ne parla nemmeno, io dormo e guai se metti la sveglia, stiamo qui anche tre giorni, abbiamo tutto il necessario per sopravvivere. Non ho nemmeno la forza per togliere la sveglia all’orologio, ancora puntata alle 3 e mezza della notte prima,  la spegnerò quando suonerà ammesso che la senta. Anche Roby è cotto, ultimi suoi sforzi per sistemarsi una brandina e farsi un po’ di spazio per non dormire proprio in un loculo… e siamo al buio. Questa volta è un buio caldo, avvolgente, sotto le coperte che ci sommergono fino alla testa.
Non c’è tempo per ripensare alla giornata: dopo un breve tremore generalizzato lungo tutto il corpo sto già dormendo.

Alle 3 circa, uscendo per pisciare, ci accorgiamo che nevica. Roby, ancora sognando, non ci crede e quasi scivola. Torniamo a dormire e dormiremo fino alle 10.30. Quando a fatica per il freddo riusciamo a sbloccare i catenacci e ad aprire la porta non nevica più e in trasparenza si vede il sole. Ma in terra ci sono 10-15 cm di neve.
In silenzio e preoccupati decidiamo di scendere veloci. Lo stomaco è contratto.

  
Già alla seconda doppia caliamo dentro ai ruscelli: è un buon segno, la neve si scioglie in un attimo; alla terza calata la neve è scomparsa. Rimane solo l’acqua… la corda fradicia ci frena durante le calate. Infine diventa tutto piacevole, i pochi tratti di sentiero sulla normale ci sembrando autostrade verso la Gianetti.


Il rifugio è vuoto, la cucina chiusa, ma il piacere di scambiare con noi due chiacchiere e vederci star bene è davvero bello. Da stamattina quando abbiamo aperto la porta del bivacco ci stanno curando come angeli custodi e ci propongono una pastasciutta alle 3 e mezza di pomeriggio.
Questa grande montagna questa volta ci ha perdonato tutto.

P.S.: nessuna relazione tecnica per questa bellissima via Cassin al Badile, che non è solo arrampicata ma un'esperienza di vita.

 

le foto sono qui: http://www.geis.altervista.org/07-09-16viaCassinBadile/